lunedì 29 marzo 2021

Panta rhei

Definizione di uomo.
Scorrere come
isole nella corrente
nell’alveo del tempo
sradicati dalle fondamenta dell’essere. 
Chiedersi se sia
più vero
il sogno nel plenilunio di mezzanotte
o il futile litigio dell’altro ieri
o la fantasia erotica che ti solletica
la ninfa rossa alla fermata del bus
o l’attesa della caduta
o la speranza dicembrina di un anno migliore
infranta dai successivi dodici mesi
e chiedersi ancora il punto esatto
dove il ricordo sfuma
nella fantasia
la memoria si fa finzione.

mercoledì 24 marzo 2021

AAA Vendesi

Sua Altezza Imperiale Su'Gajip, signore di mille miliardi di mondi, sfogliava con aria annoiata le olo-pagine degli annunci di pianeti in vendita, alla ricerca di un posto dove conservare la sua ormai ingombrante collezione di armi di distruzione di massa d'epoca.
Ci mise un bel po', ma alla fine trovò l'annuncio che stava cercando:
"Vendesi pianeta roccioso di classe II, terzo del sistema stellare 23397719, 71% acqua e 29% terre emerse. Unico difetto: una diffusa ma facilmente eliminabile infestazione di ominidi bipedi."

lunedì 15 marzo 2021

Deuteranopia

«Qui una volta era tutta
campagna…»
Frase fatta e finita
ma nelle pieghe della banalità
non si celano forse
le verità
più profonde?

Immaginiamo insieme,
tu e io,
sotto questi dorsi d’asfalto
e questi simulacri di edilizia moderna
l’erba che fu,
la pianura infinita a perdita
 d’occhio che sfuma
nell’orizzonte sanguigno
tra i ragli dei ciuchi
e i muggiti di pleistocenici pachidermi,
l’emozione del primo umano
che pose i calcagni
dove ora svetta il semaforo guasto,
e prima ancora
la distesa di sale
dove si dibattevano nella vana
corsa alla vita
banchi di ammoniti,
plesiosauri, ittiosauri,
grotteschi selaci lovecraftiani,
tutti parimenti perdenti
nel gioco insensibile dell’evoluzione.

Risalendo il gran fiume del tempo
forse disseteremo
l’atavica siccità che arde
i nostri petti
come il sole d’agosto
brucia i campisanti degli ulivi.

sabato 13 marzo 2021

La prospettiva di Gaia

Esisto. Qui, nello spazio e nel tempo.
Penso.
Ho coscienza di me. So di esistere.
Anzi, esisto perché so di esistere. Da tempo immemore.
Ma per quanto ancora?
I miei primi pensieri sono stati confuse scariche di fulmini che saettavano da una nuvola all’altra, prima di scaricarsi sul suolo sterile e proseguire la loro corsa nelle rocce.
Eone dopo eone, quei lampi sono diventati un sistema unitario. Nella densa coltre di anidride carbonica e vapore acqueo che fasciava la mia pelle neonata, ho iniziato a percepirmi.
Freddo. La prima sensazione nitida. Sopra, sotto, in qualsiasi direzione percepivo solo freddo. E la sua vastità mi atterriva ieri come oggi.
Movimento. Non riuscivo a stare ferma. Mulinavo senza sosta in una danza cosmica condotta secondo arcane geometrie siderali.
Caldo. La terza percezione in ordine è stata il calore del mio cuore, un impasto di rocce e magmi in continuo rimescolio dentro di me.
Bagnato. La sensazione di viscido dell’acqua che cadendo dalle nubi ricopriva la mia pelle ancora tiepida, raccogliendosi là dove le imperfezioni del terreno creavano una conca.
Infine il vento, ora una carezza delicata, ora uno schiaffo sferzante.
Ho percepito tutto questo, e nient’altro, per lunghi eoni. Nella mia lunga danza planetaria attorno al centro di gravità del nostro sistema ero in compagnia di altri mondi e di rocce più piccole; eppure nessuno di loro era come me.
E intanto i fulmini continuavano a percorrere la mia atmosfera, cadendo sulla terra e sui mari. Nelle acque aleggiava il prodotto di quelle collisioni, la brodaglia frutto delle reazioni fisiche e chimiche.
Ho desiderato a lungo porre fine alla mia solitudine, e alla fine ciò è accaduto. La mia essenza vitale era troppa perché la contenessi tutta: è sgusciata in quelle pozze d’acqua neonate, dove le fertili molecole ristagnavano in attesa di ricevere la vita.
I semi della mia anima hanno attecchito così facilmente!
E allora sono rimasta a contemplare la moltiplicazione di quella vita. Man mano la materia si autoplasmava in forme sempre più complesse. Ho lasciato che sciamassero sopra di me colonizzando i mari e poi le terre emerse, i cieli, le grotte, i ghiacciai.
Come potrei esprimere la bellezza di quel processo di diversificazione in una miriade di forme? E tutto ciò era tanto più bello quanto più serrata e accanita si faceva la lotta per la sopravvivenza. Dall’alto della mia lunga vecchiaia mi domandavo come potessero simili esserini così fragili spendere tante energie per perpetrare la propria progenie. Fino a che punto erano consapevoli di condannarla a ripetere la stessa esistenza breve e grama?
A un certo punto, sono arrivati i parassiti bipedi. Non è stata una cosa improvvisa, così come nulla è stato davvero improvviso nella mia lunga vita.
Inizialmente non erano diversi da qualsiasi altra creatura avesse visto la luce su di me. Sciamarono sulla mia pelle, innocue come tutti coloro che le avevano precedute. Anzi, devo ammettere che il loro cammino mi venne presto a noia: era interessante vederli impegnarsi e penare, penare, penare per sopravvivere come ogni altra specie; ma quando per loro divenne troppo facile prendere il sopravvento sulle altre creature e valicare i limiti che la natura aveva loro imposto, non ci fu più gusto.
Li sottovalutai anche allora. E mi sbagliai. Dapprima piccole punture, poi divennero fitte di dolore. Provai per la prima volta una sensazione che avevo visto miliardi di volte sui volti delle piccole creature che popolavano il mio corpo, ma che non avevo mai sperimentato. I parassiti perforarono la mia pelle, riversarono le proprie sozzure nelle mie vene, mescolarono veleni al mio fiato.
Sopportai, e sopporto ancora. D’altronde un’entità grande e grossa come me non deve abbassarsi al livello di simili omuncoli, vero?
Di tanto in tanto, gli spasmi sono così forti che devo contorcermi, eruttare il mio dolore, e allora qualche migliaio di quei parassiti muore; ma poi torna la calma, e mi illudo che possano capire quanto preziosa sia la loro vita, ma immancabilmente ripetono gli stessi errori.
Ho visto una lunga esistenza. Sono un piccolo, vecchio mondo sconquassato. Esisto perché so di esistere. Da tempo immemore.
Ma per quanto ancora?

mercoledì 10 marzo 2021

La cometa Thanatos

I calcoli non lasciavano spazio a dubbi: la cometa Tganatos avrebbe colpito in pieno la Terra. L'impatto avrebbe vaporizzato mezzo Nord America e provocato tsunami, inverni nucleari e terremoti.
L'umanità accettò rassegnata quel destino... e rimase sgomenta quando la palla di roccia e ghiaccio passò oltre il pianeta, sfiorando a malapena l'atmosfera.
In tutto il mondo esplosero manifestazioni di giubilo. Ma tutti erano troppo impegnati a festeggiare per accorgersi che quel breve transito aveva rilasciato nell'atmosfera chissà quali mortali tossine aliene.
La morte calò dal cielo in pochi istanti. L'umanità si spense festeggiando la propria illusoria salvezza.

lunedì 1 marzo 2021

Laudes sidera

Lode a te, o Sole,
cosmico melograno sfavillante,
corona di fuoco,
ribollire di grani fiammanti,
padre di vita e di morte.

Lode a te, o Luna,
madre di tutte le maree,
utero di tutti i sogni
e le speranze e le larve
della specie umana,
alveare di fantasmagorie
sepolte nei mari di basalto.

Lode a te, o Terra,
unica culla e patria
– per ora? per sempre? –
pomo della discordia d’infinite
generazioni
di Orazi e Curiati,
di Achei e Troiani,
di Kaurava e Pandava,
di Olimpi e Titani.

Lode a voi, o mondi stranieri,
vicini e lontani,
figli di altri soli, madri di altre vite,
mondi di pioggia adamantina,
mondi di amniotiche placente oceaniche,
mondi di tesori biologici sepolti sotto il ghiaccio,
mondi di altre giungle, di altri deserti,
di altri déi.