La
sala è illuminato a giorno, così tanto che la luce quasi mi ferisce.
La
sedia che occupo è la mia prigione. Cinghie di synthleath mi bloccano i polsi e
le caviglie su quel trono maledetto. In nome della decenza mi hanno concesso
almeno un paio di mutandoni neri, ma per il resto sono nudo.
L’uomo
di fronte a me è il mio carnefice. Indossa la divisa dei pris-doc ed è giovane,
non avrà più di trent’anni. Eppure nel suo sguardo non vedo traccia di vita. E’
come se avesse due biglie traslucide nei bulbi oculari. Deve aver inflitto lo
svanimento a così tanti condannati da essere diventato una sorta di tristo
mietitore in uniforme.
Sul
lato destro del petto c'è un tesserino: DR. GUSTAF GENELME.
«Convict
PO-0949-2364»
Alfredo.
Il mio nome è Alfredo. Non sono una stringa di lettere e numeri a caso.
«Lei
è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Trisha Ricciardi e di Sharon
Todisco»
Abbasso
le palpebre. I loro volti mi fissano sorridenti, come se non fosse successo
nulla. Il collo della mia darling è ancora intatto, né i capelli di mia moglie
sono imbrattati di sangue e di cervella. Chissà se hanno avuto la forza di
perdonarmi, nell’istante in cui spezzavo le loro vite.
«Il
suo caso mi ha sorpreso molto» continua il dottore. «Insomma, lei è un
lett-prof, non il genere di persona da cui ci si aspetta un omicidio così
brutal» Lo sento sospirare. «Perché ha scelto di non avvalersi di un avvocato
difensore?»
Da
parte mia, silenzio.
«Perché
non si è nemmeno difeso da solo?» è l’inevitabile domanda successiva.
Di
nuovo, silenzio.
«Oh
well, sapeva a cosa andava incontro» conclude il mio interlocutore. «Le hanno
già disattivato l’impianto neurocell nell’encefalo, quindi… let’s go con la
condanna!»
Apro
gli occhi.
Due
cam-drones dalla forma sferica mi fluttuano attorno.
«Immagino
sappia in cosa consiste il vanishing», continua il boia, mentre si china su di
me per sistemarmi il laccio emostatico. «Ogni particella del suo corpo perderà
la propria massa e si ridurrà a una semplice radiazione. Resterà cosciente, ma
sarà intangibile. Ovviamente non posso escludere che prima o poi il debole
legame che unisce le sue particelle si sfaldi. Però sappia che la sua condanna
sarà un ottimo esempio. Nulla scoraggia il crimine meglio del timore di una
punizione atroce. Da qui a dieci anni vedranno in questa forma di esecuzione
una conquista del progresso»
Con
lo sguardo seguo i movimenti delle sue dita, il picchiettio sul vetro della
siringa per favorire la salita delle bollicine, poi la punta metallica che
penetra nella carne. Lo stantuffo avanza e il liquido blu si sposta dalla
siringa al mio corpo. È freddo.
Un
secondo. Due. Tre. Nessuna reazione.
Dieci
secondi. Uno sgradevole formicolio si dipana dalla zona della puntura giù lungo
l’avambraccio, e su fino alla spalla.
Venti
secondi. Il formicolio ha raggiunto le dita. Il braccio è scosso da uno spasmo
improvviso. I tendini e le vene premono sotto la pelle leggermente sudata.
Trenta
secondi. Il gelo della soluzione che mi hanno iniettato si sta tramutando in
calore.
Quaranta
secondi. Stavolta caccio fuori un urlo seguito dall’imprecazione più blasphy
che mi suggerisca l’istinto. Il braccio arde dall’interno, eppure ho
l’impressione che la pelle si stia facendo più pallida. Il reticolo delle vene
bluastre si fa sempre più evidente.
Sessanta
secondi. Il mio braccio sembra fatto di vetro, adesso, e così i muscoli, le
ossa, le cartilagini. Là dove dovrebbe esserci un intero arto vedo solo un
intrico di filamenti scuri che mi fanno tornare alla mente certi video
didattici della scuola sul sistema circolatorio.
«I
vasi sanguigni sono gli ultimi a sparire», mi dice il dottore. «Insieme agli
organi interni. Guardi, se non ci crede.»
Solo
allora provo il desiderio di vedere cosa sta succedendo al resto del mio corpo.
Guardo il mio ventre: anche lì pelle e muscoli trasparenti, ma sotto il
labirinto di capillari pulsa il groviglio rivoltante degli intestini. Le mie
viscere! In bella mostra per il pubblico ludibrio! Soffoco a stento un conato
di vomito.
D’istinto
provo ad aggrapparmi ai braccioli, ma ormai non ho più consistenza e mi sento
sprofondare nella materia di cui è fatta la sedia. Come se di colpo mi trovassi
seduto sopra le sabbie mobili.
Il
volto del dottor Genelme va sempre più up e io sempre più down. Quando gli
occhi arrivano all’altezza del sedile provo persino a urlare, ma dalla mia
bocca non esce alcun suono. E se anche uscisse, cosa potrebbero fare per
aiutarmi?
Per
qualche istante si fa tutto buio. La luce rispunta quando la mia testa è ormai
al di sotto della sedia e l’ultima cosa che sento è il commento di Genelme:
«Ormai è svanito. Bene, next one!»
Adesso
sto sprofondando nel pavimento. La discesa è più rapida, forse perché le mie
molecole hanno ancora meno massa a fare da ostacolo. E quando l’avranno persa
tutta, what happens? Continuerò a scendere more ‘n’ more down, fino al centro
della Terra e ancora oltre? O cesserò di essere cosciente prima che ciò accada,
disgregato dalle forze fisiche? Forse sarebbe una benedizione, se l’esistenza
che mi attende è quella di uno spettro incorporeo che guarda gli altri vivere.
And
yet un’altra considerazione attraversa la mia mente: sto per sperimentare una
condizione ignota agli uomini, a parte quei pochi sfortunati condannati come me
al vanishing. Cosa potrei vedere? Cosa potrei scoprire? Quali possibilità mi
aprirebbe trascendere la natura umana?
Con
questo pensiero fisso nella mente mi protendo verso l’alto. Il dolore è ormai
svanito e il mio corpo, per quanto privo di massa, continua a rispondermi come
ha sempre fatto.
sabato 15 maggio 2021
La condanna: parte 1
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