sabato 22 maggio 2021

La condanna: parte 2

Piove su Neo-Roma. Per tutta la vita ho odiato la pioggia. Eppure, adesso che le gocce mi passano attraverso, mi scopro a rimpiangerla.
Visto dall’esterno, l’onirografo è un edificio come tanti altri. Se non fosse per l’insegna luminosa a lettere gialle e rosse, si perderebbe nell’anonimato edilizio della città.
Una holoboard all’ingresso indica i prezzi. Dieci euro per un holodream di bassa qualità, venticinque per due holodreams decenti, settanta per il pacchetto da cinque e se tiri fuori duecento euro puoi comprare un’intera holoventure. Per chi soffre di afantasia, la malattia con la più alta crescita di numero di casi nel XXII secolo, l’onirografo rappresenta l’unica fonte di immaginazione indotta artificialmente, ma sono sempre meno coloro che vi fanno ricorso.
A quest’ora della sera la via dell’onirografo è molto trafficata, ma sono pochi coloro che entrano o escono dall’edificio. Uno dei passanti, che forse capita raramente in quella parte della città, commenta: «Toh! E chi si aspettava di vedere questo posto in attività. C’è ancora chi viene a spendere qui i soldi?»
La maggior parte, però, nemmeno degna di uno sguardo l’edificio. Vedo scorrere decine di occhi vitrei, illuminati solo dal lampo bluastro degli impianti neurocell. Tutti parlano, ma i loro interlocutori sono lontani centinaia, migliaia, milioni di chilometri, dall’altra parte del gigaweb che ci connette tutti.
Un pensiero divertente mi attraversa la mente: se un selvaggio dei pochi ettari che restano dell’Amazzonia venisse trasportato nel cuore di Neo-Roma e vedesse ciò che vedo io, penserebbe di essere di fronte a una torma di matti che chiacchierano da soli.
Ma poi un altro pensiero mi raggiunge e rende amara quella constatazione: anche io facevo parte di quella massa. Anche io percorrevo le vie della città perso tra mail, notifiche, bacheche, pagine web che il neurocell mi apriva nella retina dell’occhio sinistro.
Una ragazzina che avrà non più di quindici anni mi passa accanto, e intanto commenta l’ultima puntata di uno scadente show pomeridiano: «Certo che Cecilio è un gran puttanx! Nell’ultimo episodio di Androgini & Androgine ha ammesso di essersi fattx Ana mentre corteggiava Mormo…»
Due innamorati mano nella mano non si guardano, impegnati a dare comandi ai neurocell. Lui: «Ordina su Desire un regalo per Lara. Qualcosa di low-cost ma non troppo, non voglio sembrare greedy. Accedi al suo profilo per…» Lei: «Metti un like al post della Gina, della Suva, della Mena e della… anzi no, alla Suva metti un hug. Quel cagnolino fa così tanta tenderness!»
Dall’altro lato della strada, il volto pingue di un deputato italo-giappo-russo occupa un giga-screen: «Prima di parlare di drop della criminalità, vorrei far notare che il vanishing è stato introdotto in Italia da appena venti mesi e i suoi effetti non possono essere rilevati nel giro di un paio…»
Due salarymen si incontrano per strada e si salutano. Quelli della loro razza li riconosci subito dalle uniformi monocromatiche, di un grigio triste che ricorda il cielo nuvoloso. Ma più dei loro abiti spenti, delle occhiaie violacee e della calvizie precoce indotta dal troppo lavoro, mi colpisce lo stralcio di conversazione che riesco a sentire:
«Hai sentito di Pasquale? Schiattato. Morto. Kaputt»
«E di cosa?»
«Karoshi, pare»
«Ci avrei giurato. Era uno fragile»
«Già, certi lavori non fanno per tutti»
«Non posso dire che mi dispiaccia. Insomma, chi lo conosceva?»
«A me non dispiace per niente. Adesso c’è un posto libero in contabilità»
«E speri che vada a te?»
«Be’, ho bisogno di un aumento. L’holoscreen 250 pollici non si paga da solo. A proposito, vuoi venire da me a vedere il campionato dei nani…»
La mia attenzione è attratta dall’ingresso dell’onirografo. La porta automatica si spalanca e un omone di due metri e mezzo, dall’aria brutale ma non troppo sveglia, spintona sul marciapiede un vecchio brizzolato. L’uomo è così gracile da non riuscire a mantenere l’equilibrio e rovina al suolo, tra le risate di pochi e l’indifferenza dei più.
«Ancora un po’! Vi prego!» piagnucola. «Non potete scollegarmi così»
«Vattene, fuckin’ moron!» tuona il gigante. «Non vogliamo nessun dream-junkie qui! Va’ a disintossicarti!»
«Ma io ho bisogno di quei sogni» frigna ancora il miserabile. «La mia afantasia sta peggiorando. Mi sta uccidendo. Senza gli holodreams…»
Un calcio ben assestato dell’omone lo fa guaire di dolore, ma non lo zittisce: «La prego, mi faccia rientrare. Ho i soldi per pagare, posso…»
«Il padrone non vuole i tuoi soldi sulla coscienza, schifoso junkie! Buzz off!»
Solleva il pugno con aria minacciosa e di fronte a quel gesto il vecchio arretra sconfitto. La porta si richiude, la calca di curiosi si disperde.
Il miserabile si tira su a fatica. Nessuno lo aiuta, of course. Alla gente è bastato sentire che l’altro lo apostrofava come un drogato di holodreams per decidere di non averci niente a che fare. Inutile essere ipocriti, anche io l’avrei fatto. Non viene mai niente di buono dall’aiutare un onirodipendente.
Però adesso non ho più un corpo né qualcosa da perdere, quindi posso almeno seguire l’uomo per la curiosità di vedere dove andrà a rintanarsi.
Fluttuo nell’aria finché non gli sono accanto e lo osservo meglio: dai vestiti non si direbbe un poveraccio, uno di quei junkies ridotti al lastrico dalla propria dipendenza. È un uomo distinto, forse un salaryman in pensione, e questo mi fa provare ancora più pena per la sua condizione.
Non ha con sé un ombrello, o se ce l’aveva l’ha lasciato nell’onirografo. I suoi abiti si fanno presto zuppi d’acqua, i suoi fremiti di freddo si fanno più frequenti, ma non lo sento lamentarsi. C’è qualcosa di ammirevole in quello stoicismo.
«Un sole rosso sorge su Marte. Palpiti di vita fluorescenti nell’abisso delle Marianne», mugugna lungo il tragitto. «Lo splendore della vita mesozoica. Infinite mangrovie nelle selve del Carbonifero» Devono essere gli holodreams che fa nell’onirografo. «Le nebulose di Orione. I raggi B balenano tra le Nubi di Magellano» Vedo una lacrima argentea scendergli da un occhio.
L’uomo prende via Celio Vibenna, poi svolta verso l’intrico condomini che occupa l’ex-parco del Colle Oppio. Non è la zona migliore per passeggiare la sera, e difatti inizio a domandarmi che intenzioni abbia. Sempre che ne abbia una, chiaro. I palazzoni figli dell’edilizia sfrenata nascondono il cielo dietro le loro cime, rabbuiando quelle viuzze nonostante l’illuminazione artificiale.
«Ehi, vecchio!»
La voce poco amichevole di un uomo dal fisico possente rompe il silenzio, ma il vecchio continua a camminare e a biascicare frammenti di visioni oniriche, mentre gli occhi spenti vagano nel nulla.
«Parlo con te!»
Una mano appesantita da cinque pacchianissimi anelli si stringe attorno al colletto del vecchio. Calvo e con tutto quel metallo addosso, tra borchie e paramenti, il suo aggressore dev’essere il centauro di una qualche banda di teppisti. Un drago tribale gli decora la parte destra del volto.
«Dammi tutto quello che hai, vecchio! Tutti i soldi, forza!» è la minaccia che tuona subito dopo.
Mi viene spontaneo lanciarmi verso i due, come se potessi ancora intervenire fisicamente e salvare l’uomo dell’onirografo dall’aggressione. Un ultimo e vano gesto da good samaritan, diciamo così.
Per un istante, il «No!» del vecchio mi esplode nella testa.
Mi aspetterei di attraversare il suo corpo e ritrovarmi dall’altra parte, e invece un attimo dopo ho lo sguardo del thug boy inchiodato nel mio, le sue dita grassocce e forti che mi stringono la gola. Istintivamente serro il pugno destro e sferro un colpo al suo viso, il più forte possibile. L’omone emette un rantolo bestiale e mi lascia andare
Indietreggio di un paio di passi e guardo le mie mani. Sono le stesse del vecchio. E così le gambe più sotto, i piedi nelle scarpe di synthleath. Piego le dita e mi inebrio della sensazione di avere di nuovo un corpo fisico. Non so come, ma sto possedendo il vecchio.
Alzo lo sguardo al cielo e lancio un urlo euforico.
Ma la gioia ha vita breve e un dolore lancinante al ventre mi riporta alla realtà. Abbasso lo sguardo. Il manico di un coltellaccio, stretto nella mano del centauro calvo, sporge da una ferita sanguinante. Prima che possa provare a ritrarmi, l’uomo lo fa scattare verso destra e mi dilania ulteriormente le carni.
Faccio forza sulle gambe per rimanere in piedi, ma le ginocchia cedono all’ennesima scossa di dolore e crollo sull’asfalto.
«L’hai voluto tu, asshole!» tuona ancora una volta il teppista, prima di chinarsi su di me e frugarmi nelle tasche.
O meglio, fruga nelle tasche del vecchio, e quando trova la money-card si dilegua di corsa nella stessa direzione da cui è sbucato. Sì, fuggi, maledetto! Fuggi dopo aver commesso indisturbato il tuo evitabilissimo delitto.
Sento la vita dell’uomo scivolare via dal suo corpo martoriato e malandato. Morirò anch’io? Non è questa la domanda che mi preme di più. Piuttosto, mi chiedo: è per questo che fanno svanire i condannati? Sono questi i risultati a cui aspirano il deputato Curoscivo e il dottor Genelme, e le centinaia di deputati favorevoli al vanishing, e le migliaia di docs solerti a infliggerlo?
«Drop della criminalità un beato cazzo!», sibilo a denti stretti, prima di separarmi dal corpo del moribondo e lasciarlo al suo destino. 

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