Piove
su Neo-Roma. Per tutta la vita ho odiato la pioggia. Eppure, adesso che le gocce
mi passano attraverso, mi scopro a rimpiangerla.
Visto dall’esterno,
l’onirografo è un edificio come tanti altri. Se non fosse per l’insegna
luminosa a lettere gialle e rosse, si perderebbe nell’anonimato edilizio della
città.
Una holoboard
all’ingresso indica i prezzi. Dieci euro per un holodream di bassa qualità,
venticinque per due holodreams decenti, settanta per il pacchetto da cinque e
se tiri fuori duecento euro puoi comprare un’intera holoventure. Per chi soffre
di afantasia, la malattia con la più alta crescita di numero di casi nel XXII
secolo, l’onirografo rappresenta l’unica fonte di immaginazione indotta artificialmente,
ma sono sempre meno coloro che vi fanno ricorso.
A
quest’ora della sera la via dell’onirografo è molto trafficata, ma sono pochi
coloro che entrano o escono dall’edificio. Uno dei passanti, che forse capita
raramente in quella parte della città, commenta: «Toh! E chi si aspettava di
vedere questo posto in attività. C’è ancora chi viene a spendere qui i soldi?»
La
maggior parte, però, nemmeno degna di uno sguardo l’edificio. Vedo scorrere
decine di occhi vitrei, illuminati solo dal lampo bluastro degli impianti
neurocell. Tutti parlano, ma i loro interlocutori sono lontani centinaia,
migliaia, milioni di chilometri, dall’altra parte del gigaweb che ci connette
tutti.
Un
pensiero divertente mi attraversa la mente: se un selvaggio dei pochi ettari
che restano dell’Amazzonia venisse trasportato nel cuore di Neo-Roma e vedesse
ciò che vedo io, penserebbe di essere di fronte a una torma di matti che
chiacchierano da soli.
Ma
poi un altro pensiero mi raggiunge e rende amara quella constatazione: anche io
facevo parte di quella massa. Anche io percorrevo le vie della città perso tra
mail, notifiche, bacheche, pagine web che il neurocell mi apriva nella retina
dell’occhio sinistro.
Una
ragazzina che avrà non più di quindici anni mi passa accanto, e intanto
commenta l’ultima puntata di uno scadente show pomeridiano: «Certo che Cecilio
è un gran puttanx! Nell’ultimo episodio di Androgini & Androgine ha ammesso
di essersi fattx Ana mentre corteggiava Mormo…»
Due
innamorati mano nella mano non si guardano, impegnati a dare comandi ai
neurocell. Lui: «Ordina su Desire un regalo per Lara. Qualcosa di low-cost ma
non troppo, non voglio sembrare greedy. Accedi al suo profilo per…» Lei: «Metti
un like al post della Gina, della Suva, della Mena e della… anzi no, alla Suva
metti un hug. Quel cagnolino fa così tanta tenderness!»
Dall’altro
lato della strada, il volto pingue di un deputato italo-giappo-russo occupa un
giga-screen: «Prima di parlare di drop della criminalità, vorrei far notare che
il vanishing è stato introdotto in Italia da appena venti mesi e i suoi effetti
non possono essere rilevati nel giro di un paio…»
Due
salarymen si incontrano per strada e si salutano. Quelli della loro razza li
riconosci subito dalle uniformi monocromatiche, di un grigio triste che ricorda
il cielo nuvoloso. Ma più dei loro abiti spenti, delle occhiaie violacee e
della calvizie precoce indotta dal troppo lavoro, mi colpisce lo stralcio di
conversazione che riesco a sentire:
«Hai
sentito di Pasquale? Schiattato. Morto. Kaputt»
«E
di cosa?»
«Karoshi,
pare»
«Ci
avrei giurato. Era uno fragile»
«Già,
certi lavori non fanno per tutti»
«Non
posso dire che mi dispiaccia. Insomma, chi lo conosceva?»
«A
me non dispiace per niente. Adesso c’è un posto libero in contabilità»
«E
speri che vada a te?»
«Be’,
ho bisogno di un aumento. L’holoscreen 250 pollici non si paga da solo. A
proposito, vuoi venire da me a vedere il campionato dei nani…»
La
mia attenzione è attratta dall’ingresso dell’onirografo. La porta automatica si
spalanca e un omone di due metri e mezzo, dall’aria brutale ma non troppo
sveglia, spintona sul marciapiede un vecchio brizzolato. L’uomo è così gracile
da non riuscire a mantenere l’equilibrio e rovina al suolo, tra le risate di
pochi e l’indifferenza dei più.
«Ancora
un po’! Vi prego!» piagnucola. «Non potete scollegarmi così»
«Vattene,
fuckin’ moron!» tuona il gigante. «Non vogliamo nessun dream-junkie qui! Va’ a
disintossicarti!»
«Ma
io ho bisogno di quei sogni» frigna ancora il miserabile. «La mia afantasia sta
peggiorando. Mi sta uccidendo. Senza gli holodreams…»
Un
calcio ben assestato dell’omone lo fa guaire di dolore, ma non lo zittisce: «La
prego, mi faccia rientrare. Ho i soldi per pagare, posso…»
«Il
padrone non vuole i tuoi soldi sulla coscienza, schifoso junkie! Buzz off!»
Solleva
il pugno con aria minacciosa e di fronte a quel gesto il vecchio arretra
sconfitto. La porta si richiude, la calca di curiosi si disperde.
Il
miserabile si tira su a fatica. Nessuno lo aiuta, of course. Alla gente è
bastato sentire che l’altro lo apostrofava come un drogato di holodreams per
decidere di non averci niente a che fare. Inutile essere ipocriti, anche io
l’avrei fatto. Non viene mai niente di buono dall’aiutare un onirodipendente.
Però
adesso non ho più un corpo né qualcosa da perdere, quindi posso almeno seguire
l’uomo per la curiosità di vedere dove andrà a rintanarsi.
Fluttuo
nell’aria finché non gli sono accanto e lo osservo meglio: dai vestiti non si
direbbe un poveraccio, uno di quei junkies ridotti al lastrico dalla propria
dipendenza. È un uomo distinto, forse un salaryman in pensione, e questo mi fa
provare ancora più pena per la sua condizione.
Non
ha con sé un ombrello, o se ce l’aveva l’ha lasciato nell’onirografo. I suoi
abiti si fanno presto zuppi d’acqua, i suoi fremiti di freddo si fanno più
frequenti, ma non lo sento lamentarsi. C’è qualcosa di ammirevole in quello
stoicismo.
«Un
sole rosso sorge su Marte. Palpiti di vita fluorescenti nell’abisso delle
Marianne», mugugna lungo il tragitto. «Lo splendore della vita mesozoica.
Infinite mangrovie nelle selve del Carbonifero» Devono essere gli holodreams
che fa nell’onirografo. «Le nebulose di Orione. I raggi B balenano tra le Nubi
di Magellano» Vedo una lacrima argentea scendergli da un occhio.
L’uomo
prende via Celio Vibenna, poi svolta verso l’intrico condomini che occupa
l’ex-parco del Colle Oppio. Non è la zona migliore per passeggiare la sera, e
difatti inizio a domandarmi che intenzioni abbia. Sempre che ne abbia una,
chiaro. I palazzoni figli dell’edilizia sfrenata nascondono il cielo dietro le
loro cime, rabbuiando quelle viuzze nonostante l’illuminazione artificiale.
«Ehi,
vecchio!»
La
voce poco amichevole di un uomo dal fisico possente rompe il silenzio, ma il
vecchio continua a camminare e a biascicare frammenti di visioni oniriche,
mentre gli occhi spenti vagano nel nulla.
«Parlo
con te!»
Una
mano appesantita da cinque pacchianissimi anelli si stringe attorno al colletto
del vecchio. Calvo e con tutto quel metallo addosso, tra borchie e paramenti,
il suo aggressore dev’essere il centauro di una qualche banda di teppisti. Un
drago tribale gli decora la parte destra del volto.
«Dammi
tutto quello che hai, vecchio! Tutti i soldi, forza!» è la minaccia che tuona
subito dopo.
Mi
viene spontaneo lanciarmi verso i due, come se potessi ancora intervenire
fisicamente e salvare l’uomo dell’onirografo dall’aggressione. Un ultimo e vano
gesto da good samaritan, diciamo così.
Per
un istante, il «No!» del vecchio mi esplode nella testa.
Mi
aspetterei di attraversare il suo corpo e ritrovarmi dall’altra parte, e invece
un attimo dopo ho lo sguardo del thug boy inchiodato nel mio, le sue dita
grassocce e forti che mi stringono la gola. Istintivamente serro il pugno
destro e sferro un colpo al suo viso, il più forte possibile. L’omone emette un
rantolo bestiale e mi lascia andare
Indietreggio
di un paio di passi e guardo le mie mani. Sono le stesse del vecchio. E così le
gambe più sotto, i piedi nelle scarpe di synthleath. Piego le dita e mi inebrio
della sensazione di avere di nuovo un corpo fisico. Non so come, ma sto
possedendo il vecchio.
Alzo
lo sguardo al cielo e lancio un urlo euforico.
Ma
la gioia ha vita breve e un dolore lancinante al ventre mi riporta alla realtà.
Abbasso lo sguardo. Il manico di un coltellaccio, stretto nella mano del
centauro calvo, sporge da una ferita sanguinante. Prima che possa provare a
ritrarmi, l’uomo lo fa scattare verso destra e mi dilania ulteriormente le
carni.
Faccio
forza sulle gambe per rimanere in piedi, ma le ginocchia cedono all’ennesima
scossa di dolore e crollo sull’asfalto.
«L’hai
voluto tu, asshole!» tuona ancora una volta il teppista, prima di chinarsi su
di me e frugarmi nelle tasche.
O
meglio, fruga nelle tasche del vecchio, e quando trova la money-card si dilegua
di corsa nella stessa direzione da cui è sbucato. Sì, fuggi, maledetto! Fuggi
dopo aver commesso indisturbato il tuo evitabilissimo delitto.
Sento
la vita dell’uomo scivolare via dal suo corpo martoriato e malandato. Morirò
anch’io? Non è questa la domanda che mi preme di più. Piuttosto, mi chiedo: è
per questo che fanno svanire i condannati? Sono questi i risultati a cui
aspirano il deputato Curoscivo e il dottor Genelme, e le centinaia di deputati
favorevoli al vanishing, e le migliaia di docs solerti a infliggerlo?
«Drop
della criminalità un beato cazzo!», sibilo a denti stretti, prima di separarmi
dal corpo del moribondo e lasciarlo al suo destino.
Nessun commento:
Posta un commento