Per loro fu l'istante di un'ultima tenerezza, ma per l'universo quel bacio sarebbe durato infiniti eoni.
mercoledì 29 settembre 2021
L'amore ai tempi del buco nero
Per loro fu l'istante di un'ultima tenerezza, ma per l'universo quel bacio sarebbe durato infiniti eoni.
mercoledì 15 settembre 2021
Cronopasticci 1940
mercoledì 8 settembre 2021
La grande piaga nel cosmo
mercoledì 25 agosto 2021
Giungemmo: è il Fine
Alexandros, signore di mille miliardi di galassie, contemplava dalla nave ammiraglia il pianetino appena occupato dalle sue truppe.
«Generale Gigas, qual è il prossimo mondo da conquistare?»
«In verità, mio glorioso signore, questo era l’ultimo...»
«L’ultimo? Vuol dire che...?»
«Avete sottomesso ogni singolo pianeta di ogni singola galassia di questo universo.»
Quel giorno Alexandros scoprì che i sogni muoiono nell'esatto momento in cui si realizzano.
Ispirato alla poesia "Alexandros" di Giovanni Pascoli.
mercoledì 11 agosto 2021
Orgoglio e pentimento
mercoledì 28 luglio 2021
Gremlin
mercoledì 14 luglio 2021
Aquarium
«Un esemplare così non l'hai mai visto… viene dal pianeta Eridani VII e mi è costato una fortuna, ma credo che valga tutti i soldi che ho speso!»
Ero abituato alle stranezze di Sanjay, ma stavolta sobbalzai inorridito. Dall'altra parte del vetro i miei occhi incrociarono le iridi vispe e piene di intelligenza di una creatura umanoide, dalle mani palmate e il corpo terminante in una coda di pesce.
E mi tornò alla mente una parola dell'antica mitologia terrestre, perfetta per descrivere un siffatto essere: «Sirena...»
martedì 6 luglio 2021
Recensioni e opinioni: Predatore (Gary Jennings)
Del resto, le premesse per un ottimo romanzo storico c'erano tutte, perché l'opera si presentava fin dalla quarta di copertina come la storia di un ermafrodita goto negli ultimi anni di vita dell'impero romano: un periodo segnato da grandi migrazioni di popoli, repentini passaggi di potere e gesta eroiche presto entrate nella leggenda (chi studia le letterature germaniche o medievali avrà almeno sentito parlare del ciclo epico di Dietrich von Bern, che altro non è che la versione romanzata e leggendaria delle gesta di Teodorico il Grande). E poi c'era quel particolare, la natura ermafrodita del protagonista, che mi incuriosiva. Non mi scoraggiava, invece, la mole del tomo: 800 pagine sono tante, ma ci sono abituato fin da quando muovevo i primi passi nel mondo letterario e mi nutrono avidamente dei romanzoni extra-large di Dumas.
Giunto all'ultima pagina del romanzo di Jennings, posso dare un giudizio che è ambiguo e ambivalente tanto quanto la natura del suo personaggio principale, il mannamavi Thorn: Predatore è un romanzo con tanti, troppi difetti, ma che nonostante questo è riuscito a catturarmi, a spingermi a divorarlo pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, perché nonostante i mille problemi della scrittura ha qualcosa che mi ha conquistato. E che alla fine mi ha anche commosso, devo ammetterlo.
Il secondo problema, ben più grave, risiede nella scrittura stessa di Jennings. Predatore è presentato come un manoscritto di Thorn stesso, scritto in prima persona, ritrovato fortuitamente e tradotto dall'autore, secondo un espediente che non può non ricordare Manzoni. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che la pretesa di estremo realismo alla base del romanzo si scontra con un uso dei dialoghi che di realistico ha poco. Il manoscritto fittizio di Thorn è la fiera degli spiegoni: non soltanto il narratore stesso si lascia andare a continue e inutili digressioni che appesantiscono il racconto, ma persino i dialoghi sono costruiti per fornire informazioni al lettore in maniera totalmente inverosimile.
"Che stupidi!" esclamò tutto allegro Freidereikhs. "Teodorico, so bene che non vorrai ingaggiare battaglia fino a quando non avrai sistemato come vuoi tutti i fanti e i cavalieri. Nel frattempo, però, lascia che porti i Rugi dietro le linee nemiche, così...""Sta' zitto, ragazzo, e impara qualcosa" disse con aria burbera ma non sgarbata Teodorico. Poi voltò le spalle al giovane re per dare istruzioni a Pitzias, Ibba ed Herduic di far schierare le loro centurie, corti e turmae lì, lì e lì. Infine Teodorico si rivolse di nuovo al ragazzo: "Lascia che ti spieghi che cosa sto per fare e perché lo faccio, in modo che...""Ma ho già capito, Teodorico!" l'interruppe il ragazzo, e per l'eccitazione lo sommerse con un torrente di parole. "Appena i generali avranno radunato, schierato e istruito le loro truppe e avranno cominciato ad avanzare, farai sferrare l'attacco principale alla cavalleria di Ibba, che si disporrà secondo quello che si chiama la 'formazione a branco di porci' - uno schieramento triangolare ideato dal grande dio Wotan quando, nei tempi antichi, scese sulla terra per divertirsi un po' nelle vesti di Jalk l'Uccisore di Giganti, e notò per caso che un branco di maiali selvatici galoppava nella foresta disponendosi come un triangolo con la punta in avanti, e spazzando via qualunque animale si trovasse davanti...
Infine, Predatore è un romanzo che sa colpire al cuore. Non certo per una qualche immedesimazione in Thorn, che non suscita particolare simpatia, grazie alla sua caratterizzazione da perfetto Gary Stu/Mary Sue: è intelligentissimo, brillantissimo, fortunatissimo, prestantissimo, astutissimo, bellissimo, seduce chiunque, se la cava in ogni circostanza... no, non certo per Thorn. Jennings è tanto impacciato a delineare la figura del protagonista quanto è bravissimo a gestire le uscite di scena dei tanti personaggi maggiori e minori, principali e secondari, con cui Thorn interagisce. L'avevo già intuito nell'Azteco e Predatore me l'ha confermato: Jennings è il "poeta" delle morti dei personaggi, raramente ho trovato un autore così bravo a rendere potenti e coinvolgenti le uscite di scena, dalla più insignificante alla più truce e violenta. Soprattutto, raramente ho trovato un romanzo che mi facesse quasi piangere (quasi, eh, devo mantenere una parvenza di insensibilità!) per la morte di gente che tutto sommato nemmeno esiste.
mercoledì 30 giugno 2021
Otto miliardi di anni
Su quel globo desolato gli oceani erano evaporati e la vita si era ormai estinta. La stella attorno a cui il pianeta orbitava era divenuta una gigante rossa e da un momento all'altro avrebbe avuto il suo ultimo sussulto, espellendo nel cosmo gli strati gassosi esterni e dando vita a una sfavillante nebulosa.
L'androide XTH-1813 si sistemò meglio gli speciali occhiali da sole sugli occhi sintetici e si preparò allo spettacolo. Nulla al mondo gli avrebbe impedito di vedere la morte del Sole direttamente dalla prima fila.
mercoledì 16 giugno 2021
Effetti collaterali
lunedì 7 giugno 2021
La perdita dell'immortalità
A quattro
anni
o poco più
realizzai
che non sarei
vissuto per
sempre.
Giocavo a
far lottare
i pupazzetti
dei dinosauri
quando il
pensiero
della
finitudine
mi si
conficcò nel cranio.
Sapere
che per
miliardi di eoni
prima di allora
io non ero
esistito
e che per
altri miliardi
dopo di
allora
non sarei
più esistito
fu come un
pestone
sul cuore.
Piansi
nel petto di
mia madre
e non le
confessai
che ero
all’inizio
dei miei
affanni.
Mentii.
«Mi manca
papà»,
le dissi,
«quando
torna dal lavoro?»
Invece mi
mancava
l’immortalità
dell’ignoranza.
sabato 5 giugno 2021
La condanna: parte 4
Il centauro calvo giace riverso nel proprio sangue sull’asfalto. Dalla voragine aperta sul lato destro del cranio colano pezzi d’osso, meninge e materia cerebrale.
I suoi occhi spalancati mi ricordano quelli di Trisha, benché siano castani e non verdi. Incredibile come occhi di persone diverse, magari di colori diversi, si assomiglino tutti nella morte. Così come si assomigliano i loro cervelli, le loro ossa, la loro carne martoriata dalla mano dell’assassino.
Fracassargli la scatola cranica mi ha dato un piacere che non provavo da tanto, da… da quando ho ammazzato Trisha e Sharon, direi. Solo che stavolta si è aggiunto un ulteriore dettaglio perverso: ho ancora meno cose da perdere. Io sono un puro spirito, il corpo che manovro è di un altro. Se sarò arrestato, la condanna colpirà Ramirez, non me. Se sarò assalito dai compari dell’ucciso, morirà Ramirez, non io.
Nella via deserta risuona il plic! plic! del sangue che cola dal tubo che ancora stringo in mano, almeno finché non è sommerso dall’ennesimo urlo della puta che era in compagnia del thug boy ap-pena ammazzato. Se ha un grammo di cervello, sarà andata a chiamare rinforzi.
Not bad! Io resto qui, non vado da nessuna parte. Mandatemi contro tutti i tipi armati che volete! Risponderò loro per le rime, e quando avranno ridotto questo mio corpo a una poltiglia irriconoscibile andrò alla ricerca di un altro ospite da possedere.
Neo-Roma è piena di menti deboli. E io sto iniziando a scoprire come servirmene.
mercoledì 2 giugno 2021
Traffico
sabato 29 maggio 2021
La condanna: parte 3
lunedì 24 maggio 2021
Māyā
Scarabocchiando
versi d’amore
nell’ultima
ora della sera,
quando la
luna di cobalto
si fa velo
con le nubi
peregrine,
mi sono
chiesto
se tu, amore
mio,
sia più vera
del sogno diafano
che
accarezzo ogni notte
oltre il
muro delle palpebre
serrate, o
se debba
annoverarti
nella
medesima stirpe di larve
sgusciate
dal nido
della mia
fantasia.
Forse della
tua essenza resta
solamente il
ricordo stinto
in una foto di
liceo
in un
cantuccio della memoria,
o forse
vedrò ancora
il tuo volto
incorniciato
dalla chioma
lussureggiante
della
prossima nereide
che mi
illuderò di amare,
trascinato
nelle profondità
di un
bisogno dell’anima
che non
smetto di saziare.
sabato 22 maggio 2021
La condanna: parte 2
mercoledì 19 maggio 2021
Carambola cosmica
sabato 15 maggio 2021
La condanna: parte 1
La
sala è illuminato a giorno, così tanto che la luce quasi mi ferisce.
La
sedia che occupo è la mia prigione. Cinghie di synthleath mi bloccano i polsi e
le caviglie su quel trono maledetto. In nome della decenza mi hanno concesso
almeno un paio di mutandoni neri, ma per il resto sono nudo.
L’uomo
di fronte a me è il mio carnefice. Indossa la divisa dei pris-doc ed è giovane,
non avrà più di trent’anni. Eppure nel suo sguardo non vedo traccia di vita. E’
come se avesse due biglie traslucide nei bulbi oculari. Deve aver inflitto lo
svanimento a così tanti condannati da essere diventato una sorta di tristo
mietitore in uniforme.
Sul
lato destro del petto c'è un tesserino: DR. GUSTAF GENELME.
«Convict
PO-0949-2364»
Alfredo.
Il mio nome è Alfredo. Non sono una stringa di lettere e numeri a caso.
«Lei
è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Trisha Ricciardi e di Sharon
Todisco»
Abbasso
le palpebre. I loro volti mi fissano sorridenti, come se non fosse successo
nulla. Il collo della mia darling è ancora intatto, né i capelli di mia moglie
sono imbrattati di sangue e di cervella. Chissà se hanno avuto la forza di
perdonarmi, nell’istante in cui spezzavo le loro vite.
«Il
suo caso mi ha sorpreso molto» continua il dottore. «Insomma, lei è un
lett-prof, non il genere di persona da cui ci si aspetta un omicidio così
brutal» Lo sento sospirare. «Perché ha scelto di non avvalersi di un avvocato
difensore?»
Da
parte mia, silenzio.
«Perché
non si è nemmeno difeso da solo?» è l’inevitabile domanda successiva.
Di
nuovo, silenzio.
«Oh
well, sapeva a cosa andava incontro» conclude il mio interlocutore. «Le hanno
già disattivato l’impianto neurocell nell’encefalo, quindi… let’s go con la
condanna!»
Apro
gli occhi.
Due
cam-drones dalla forma sferica mi fluttuano attorno.
«Immagino
sappia in cosa consiste il vanishing», continua il boia, mentre si china su di
me per sistemarmi il laccio emostatico. «Ogni particella del suo corpo perderà
la propria massa e si ridurrà a una semplice radiazione. Resterà cosciente, ma
sarà intangibile. Ovviamente non posso escludere che prima o poi il debole
legame che unisce le sue particelle si sfaldi. Però sappia che la sua condanna
sarà un ottimo esempio. Nulla scoraggia il crimine meglio del timore di una
punizione atroce. Da qui a dieci anni vedranno in questa forma di esecuzione
una conquista del progresso»
Con
lo sguardo seguo i movimenti delle sue dita, il picchiettio sul vetro della
siringa per favorire la salita delle bollicine, poi la punta metallica che
penetra nella carne. Lo stantuffo avanza e il liquido blu si sposta dalla
siringa al mio corpo. È freddo.
Un
secondo. Due. Tre. Nessuna reazione.
Dieci
secondi. Uno sgradevole formicolio si dipana dalla zona della puntura giù lungo
l’avambraccio, e su fino alla spalla.
Venti
secondi. Il formicolio ha raggiunto le dita. Il braccio è scosso da uno spasmo
improvviso. I tendini e le vene premono sotto la pelle leggermente sudata.
Trenta
secondi. Il gelo della soluzione che mi hanno iniettato si sta tramutando in
calore.
Quaranta
secondi. Stavolta caccio fuori un urlo seguito dall’imprecazione più blasphy
che mi suggerisca l’istinto. Il braccio arde dall’interno, eppure ho
l’impressione che la pelle si stia facendo più pallida. Il reticolo delle vene
bluastre si fa sempre più evidente.
Sessanta
secondi. Il mio braccio sembra fatto di vetro, adesso, e così i muscoli, le
ossa, le cartilagini. Là dove dovrebbe esserci un intero arto vedo solo un
intrico di filamenti scuri che mi fanno tornare alla mente certi video
didattici della scuola sul sistema circolatorio.
«I
vasi sanguigni sono gli ultimi a sparire», mi dice il dottore. «Insieme agli
organi interni. Guardi, se non ci crede.»
Solo
allora provo il desiderio di vedere cosa sta succedendo al resto del mio corpo.
Guardo il mio ventre: anche lì pelle e muscoli trasparenti, ma sotto il
labirinto di capillari pulsa il groviglio rivoltante degli intestini. Le mie
viscere! In bella mostra per il pubblico ludibrio! Soffoco a stento un conato
di vomito.
D’istinto
provo ad aggrapparmi ai braccioli, ma ormai non ho più consistenza e mi sento
sprofondare nella materia di cui è fatta la sedia. Come se di colpo mi trovassi
seduto sopra le sabbie mobili.
Il
volto del dottor Genelme va sempre più up e io sempre più down. Quando gli
occhi arrivano all’altezza del sedile provo persino a urlare, ma dalla mia
bocca non esce alcun suono. E se anche uscisse, cosa potrebbero fare per
aiutarmi?
Per
qualche istante si fa tutto buio. La luce rispunta quando la mia testa è ormai
al di sotto della sedia e l’ultima cosa che sento è il commento di Genelme:
«Ormai è svanito. Bene, next one!»
Adesso
sto sprofondando nel pavimento. La discesa è più rapida, forse perché le mie
molecole hanno ancora meno massa a fare da ostacolo. E quando l’avranno persa
tutta, what happens? Continuerò a scendere more ‘n’ more down, fino al centro
della Terra e ancora oltre? O cesserò di essere cosciente prima che ciò accada,
disgregato dalle forze fisiche? Forse sarebbe una benedizione, se l’esistenza
che mi attende è quella di uno spettro incorporeo che guarda gli altri vivere.
And
yet un’altra considerazione attraversa la mia mente: sto per sperimentare una
condizione ignota agli uomini, a parte quei pochi sfortunati condannati come me
al vanishing. Cosa potrei vedere? Cosa potrei scoprire? Quali possibilità mi
aprirebbe trascendere la natura umana?
Con
questo pensiero fisso nella mente mi protendo verso l’alto. Il dolore è ormai
svanito e il mio corpo, per quanto privo di massa, continua a rispondermi come
ha sempre fatto.
mercoledì 5 maggio 2021
Metempsicosi.exe
lunedì 26 aprile 2021
Pioggia
Risuonano
i liquidi tonfi
sui sonni appena disfatti
dal trillare del tempo
inesorabile
che un'onirica Penelope all'imbrunire
ritesserà.
sabato 24 aprile 2021
La madre del prescelto
mercoledì 21 aprile 2021
I mari di Heridanos V
lunedì 12 aprile 2021
Tarentum
Non è bella la vita
dei pronipoti di Sparta
tra le stimmate della diossina
e le polveri sottili
e i miraggi di chi promette calende greche.
Eppure
non si muore solamente
all’ombra dei serpenti di fumo
che sgusciano dalle torri.
Fa capolino dall’orizzonte
un Sole-Giano bifronte
portatore di speranze
e di dolori.
I suoi raggi
come pennelli
dipingono d’argento
la tela blu dei due mari
e indorano i torrioni
del vecchio castello
e lo scheletro di ferro
del ponte.
S’agitano le palme
come immense mani verdi
che sperano di essere viste
da un Dio, se mai v’è lassù.
Nel piazzale
sotto lo sguardo arcigno
di un filosofo di pietra
giocano bimbi ignari,
che non sanno di essere
astragali gettati da un bimbo
chiamato Caso
sotto un cielo di carne palpitante,
mentre le cure di un museo
custodiscono
i fasti della Magna Grecia.
mercoledì 7 aprile 2021
Il leviatano
sabato 3 aprile 2021
La moglie dell'onorevole Scipioni
L’onorevole Scipioni è un piano e tre stanze più in là, inchiodato dall’ultimo ictus a una carrozzella.
La moglie dell’onorevole Scipioni, invece, è sdraiata sul tavolo da pranzo, sovrastata da un Ercole africano al cui confronto lei appare così piccolina. Con le unghie smaltate di rosso si abbarbica alle spalle del gigante d’ebano. Le gambe magre inguainate nei collant stringono la vita dell’uomo, che stantuffa come un mastice nella fucina di un fabbro. Nella foga ferina dell’amplesso, la costosa décolléte destra della donna è volata sul pavimento. Le natiche sode dell’africano, lasciate completamente scoperte dai pantaloni calati fino alle caviglie, vibrano a ogni affondo.
Le labbra di corallo della signora Scipioni tremano per gli spasmi del piacere, poi pronunciano: «Oh sì, Okonkwo, sì sì! Okonkwo!»
Se la gode Okonkwo, pensando a tutte le volte che l’onorevole senatore-di-sto-cazzo nel partito-xenofobo-di-sto-cazzo l’ha umiliato. A tutte le volte che l’ha guardato dall’alto in basso, come se dargli un lavoro come tuttofare nella propria villa lo avesse reso il Padreterno. A tutte le volte che non si è fatto problemi a chiamarlo “negro”. Beh, indovina un po’, adesso quel “negro” come lo chiami tu si sta facendo tua moglie!
Okonkwo possiede la donna con vigore animalesco. Chi li vedesse in quel momento penserebbe che la donna sia lì lì per rompersi, per spezzarsi, per essere tagliata in due come la banchina polare sotto la prua di una rompighiaccio. È lei che lo incita a prenderla così, la brava e cara signora Erica, apparentemente tutta casa e chiesa ma sotto sotto sordida come la meretrice di Babilonia, oscena nella sua ipocrisia borghese. Lo incita ripetendo: «Vai, Okonkwo, vai! Sei il mio mandingo!»
Sarebbe tentato di dirle che i Mandinghi sono un gruppo etnico ben preciso, che lui è nigeriano e che usare il loro nome per indicare genericamente gli africani in riferimento a certe loro prestanze fisiche è offensivo, ma si trattiene. Perché dovrebbe concederle l’onore di rischiarare la sua ignoranza da donna del Primo Mondo?
Certo, gli fa rabbia che il mondo giri in quel modo. Che lui, laureato in ingegneria e costretto a fuggire dalla terra natale per le guerre, debba fare da servo a gente come la signora Erica e il marito, che nella vita non hanno fatto niente e possiede tutto. Ma forse l’ictus dell’onorevole Scipioni è una vendetta divina, già, e potersi fare la moglie è un ulteriore bonus. O se non esiste Dio, è il karma che gira. O forse semplicemente culo. E a proposito di culo, forse la signora Scipioni si merita una ripassata anche lì dietro, come ulteriore riparazione per i crimini del colonialismo. Tu uomo bianco depauperi un continente e tracci confini a cazzo per alimentare guerre civili per i prossimi cent’anni, e io ti inchiappetto la donna: uno scambio equo, no?
A quel pensiero Okonkwo si eccita e aumenta il ritmo dell’amplesso. Il tavolo traballa, cigola, sembra sul punto di rompersi ma continua a reggere, mentre un intero continente sfruttato e schiavizzato si prende la sua rivincita facendo cornuto lo schiavista e lo sfruttatore.
lunedì 29 marzo 2021
Panta rhei
Definizione di uomo.
Scorrere come
isole nella corrente
nell’alveo del tempo
sradicati dalle fondamenta dell’essere.
Chiedersi se sia
più vero
il sogno nel plenilunio di mezzanotte
o il futile litigio dell’altro ieri
o la fantasia erotica che ti solletica
la ninfa rossa alla fermata del bus
o l’attesa della caduta
o la speranza dicembrina di un anno migliore
infranta dai successivi dodici mesi
e chiedersi ancora
il punto esatto
dove il ricordo sfuma
nella fantasia
la memoria si fa finzione.
mercoledì 24 marzo 2021
AAA Vendesi
lunedì 15 marzo 2021
Deuteranopia
«Qui una volta era tutta
campagna…»
Frase fatta e finita
ma nelle pieghe della banalità
non si celano forse
le verità
più profonde?
Immaginiamo insieme,
tu e io,
sotto questi dorsi d’asfalto
e questi simulacri di edilizia moderna
l’erba che fu,
la pianura infinita a perdita
d’occhio che sfuma
nell’orizzonte sanguigno
tra i ragli dei ciuchi
e i muggiti
di pleistocenici pachidermi,
l’emozione del primo umano
che pose i calcagni
dove ora svetta il semaforo guasto,
e prima ancora
la distesa di sale
dove si dibattevano nella vana
corsa alla vita
banchi di ammoniti,
plesiosauri, ittiosauri,
grotteschi selaci lovecraftiani,
tutti parimenti perdenti
nel gioco insensibile
dell’evoluzione.
Risalendo il gran fiume del tempo
forse disseteremo
l’atavica siccità che arde
i nostri petti
come il sole d’agosto
brucia i campisanti degli ulivi.
sabato 13 marzo 2021
La prospettiva di Gaia
Ho percepito tutto questo, e nient’altro, per lunghi eoni. Nella mia lunga danza planetaria attorno al centro di gravità del nostro sistema ero in compagnia di altri mondi e di rocce più piccole; eppure nessuno di loro era come me.
E intanto i fulmini continuavano a percorrere la mia atmosfera, cadendo sulla terra e sui mari. Nelle acque aleggiava il prodotto di quelle collisioni, la brodaglia frutto delle reazioni fisiche e chimiche.
Ho desiderato a lungo porre fine alla mia solitudine, e alla fine ciò è accaduto. La mia essenza vitale era troppa perché la contenessi tutta: è sgusciata in quelle pozze d’acqua neonate, dove le fertili molecole ristagnavano in attesa di ricevere la vita.
I semi della mia anima hanno attecchito così facilmente!
E allora sono rimasta a contemplare la moltiplicazione di quella vita. Man mano la materia si autoplasmava in forme sempre più complesse. Ho lasciato che sciamassero sopra di me colonizzando i mari e poi le terre emerse, i cieli, le grotte, i ghiacciai.
Come potrei esprimere la bellezza di quel processo di diversificazione in una miriade di forme? E tutto ciò era tanto più bello quanto più serrata e accanita si faceva la lotta per la sopravvivenza. Dall’alto della mia lunga vecchiaia mi domandavo come potessero simili esserini così fragili spendere tante energie per perpetrare la propria progenie. Fino a che punto erano consapevoli di condannarla a ripetere la stessa esistenza breve e grama?
A un certo punto, sono arrivati i parassiti bipedi. Non è stata una cosa improvvisa, così come nulla è stato davvero improvviso nella mia lunga vita.
Inizialmente non erano diversi da qualsiasi altra creatura avesse visto la luce su di me. Sciamarono sulla mia pelle, innocue come tutti coloro che le avevano precedute. Anzi, devo ammettere che il loro cammino mi venne presto a noia: era interessante vederli impegnarsi e penare, penare, penare per sopravvivere come ogni altra specie; ma quando per loro divenne troppo facile prendere il sopravvento sulle altre creature e valicare i limiti che la natura aveva loro imposto, non ci fu più gusto.
Li sottovalutai anche allora. E mi sbagliai. Dapprima piccole punture, poi divennero fitte di dolore. Provai per la prima volta una sensazione che avevo visto miliardi di volte sui volti delle piccole creature che popolavano il mio corpo, ma che non avevo mai sperimentato. I parassiti perforarono la mia pelle, riversarono le proprie sozzure nelle mie vene, mescolarono veleni al mio fiato.
Sopportai, e sopporto ancora. D’altronde un’entità grande e grossa come me non deve abbassarsi al livello di simili omuncoli, vero?
Di tanto in tanto, gli spasmi sono così forti che devo contorcermi, eruttare il mio dolore, e allora qualche migliaio di quei parassiti muore; ma poi torna la calma, e mi illudo che possano capire quanto preziosa sia la loro vita, ma immancabilmente ripetono gli stessi errori.
Ho visto una lunga esistenza. Sono un piccolo, vecchio mondo sconquassato. Esisto perché so di esistere. Da tempo immemore.
Ma per quanto ancora?
mercoledì 10 marzo 2021
La cometa Thanatos
lunedì 1 marzo 2021
Laudes sidera
Lode a te, o
Sole,
cosmico
melograno sfavillante,
corona di
fuoco,
ribollire di
grani fiammanti,
padre di
vita e di morte.
Lode a te, o
Luna,
madre di
tutte le maree,
utero di
tutti i sogni
e le
speranze e le larve
della specie
umana,
alveare di
fantasmagorie
sepolte nei
mari di basalto.
Lode a te, o
Terra,
unica culla
e patria
– per ora?
per sempre? –
pomo della
discordia d’infinite
generazioni
di Orazi e
Curiati,
di Achei e
Troiani,
di Kaurava e
Pandava,
di Olimpi e
Titani.
Lode a voi,
o mondi stranieri,
vicini e
lontani,
figli di
altri soli, madri di altre vite,
mondi di
pioggia adamantina,
mondi di
amniotiche placente oceaniche,
mondi di
tesori biologici sepolti sotto il ghiaccio,
mondi di
altre giungle, di altri deserti,
di altri déi.